Coaching empatico: guidare le aspettative verso un percorso di crescita autentica

Coaching empatico

In tutti questi anni di esperienza come Mental Coach, ho incontrato tantissime persone con richieste estremamente diverse tra loro. Eppure, c’è un elemento ricorrente che accomuna molti primi contatti: aspettative che necessitano di essere riorientate per poter davvero intraprendere un percorso di crescita efficace.


Quando il cliente chiede sberle

Recentemente, un cliente mi ha scritto elencando i suoi obiettivi:

  1. Devo andare avanti e dimenticare tutti i traumi del mio passato
  2. Ho bisogno di qualcuno che mi dia delle sberle in modo da spingermi ad andare avanti da solo e non dipendere dagli altri
  3. (Ma non meno importante) Devo creare la mia autostima che è sempre stata bassa ma ora è ai minimi storici
  4. Devo smettere di procrastinare sempre qualsiasi cosa.
  5. Devo smettere di lamentarmi sempre per qualsiasi cosa Tutto ciò mi ha distrutto il cervello

Dunque superare i traumi del passato, smettere di procrastinare, costruire autostima e, soprattutto, ricevere “sberle” per spingersi ad andare avanti autonomamente.

Questa richiesta di durezza, di qualcuno che lo “scuota” energicamente, è sorprendentemente comune. Molte persone associano il cambiamento personale a un processo duro, quasi punitivo. Credono che la motivazione derivi principalmente da pressioni esterne e che il coaching debba essere una specie di “boot camp” emotivo.
Ma è davvero questo l’approccio più efficace?

L’inganno della motivazione esterna

La richiesta di “sberle” rivela una convinzione diffusa: che la motivazione debba venire dall’esterno, che abbiamo bisogno di qualcuno che ci spinga, ci sgridi, ci metta fretta. Questo tipo di motivazione, tuttavia, ha alcuni problemi fondamentale: non dura, ma sopratutto nasconde dimensioni psicologiche più complesse che meritano un’esplorazione approfondita.

Le radici traumatiche della richiesta di durezza

Da una prospettiva psicanalitica, la domanda di un approccio severo può essere interpretata come la riproduzione inconscia di modelli relazionali interiorizzati durante l’infanzia. Spesso chi chiede “sberle” ha vissuto esperienze formative in cui:

— L’amore e l’attenzione erano condizionati al raggiungimento di risultati
— La disciplina era imposta attraverso severità e, in alcuni casi, umiliazione
— Si è sviluppata la convinzione che il proprio valore dipenda dalla propria produttività
— Le figure di riferimento hanno utilizzato la colpevolizzazione come metodo educativo

In questo senso, la richiesta di durezza può rappresentare un tentativo di riprodurre un modello familiare (e/o sociale), per quanto disfunzionale. C’è un paradossale comfort nel ricadere in dinamiche conosciute, anche quando sono state fonte di sofferenza.

L’autopunizione come meccanismo di difesa

Un altro aspetto significativo è che la ricerca di “sberle” può rappresentare un meccanismo difensivo di autopunizione. Secondo la teoria psicanalitica, i sentimenti di colpa inconsci portano spesso a cercare situazioni che confermino una visione negativa di sé. Chi ha interiorizzato un senso di inadeguatezza può inconsciamente cercare figure autoritarie che confermino questo giudizio interno, perpetuando così il ciclo traumatico.

È interessante notare come nella richiesta “ho bisogno di qualcuno che mi dia delle sberle in modo da spingermi ad andare avanti da solo” si nasconda un paradosso: cercare dipendenza per raggiungere l’indipendenza. Questo conflitto riflette spesso traumi legati all’autonomia e all’attaccamento non risolti, dove l’individuo oscilla tra il desiderio di libertà e il bisogno di una guida esterna forte.

Coaching empatico

Oltre il trauma: trasformare il modello relazionale

Un coaching veramente efficace riconosce queste dinamiche senza rinforzarle. Invece di replicare il modello traumatico, offre un’esperienza relazionale correttiva, dove:

Il valore della persona è riconosciuto indipendentemente dai suoi risultati
La motivazione viene coltivata attraverso la consapevolezza e non attraverso la paura
Gli errori sono visti come opportunità di apprendimento, non come conferme di inadeguatezza
Si costruisce gradualmente la capacità di autoregolazione emotiva.

L’approccio empatico: costruire invece che spingere

Il coaching efficace non consiste nel forzare le persone al cambiamento, ma nel creare le condizioni perché scoprano in sé la capacità di cambiare. Questo è il cuore dell’approccio empatico.

L’empatia nel coaching non è semplice gentilezza o accondiscendenza. È un ascolto profondo che permette di:

  1. Comprendere il vero bisogno dietro la richiesta
    Quando qualcuno chiede “sberle”, spesso sta comunicando frustrazione verso sé stesso e un desiderio di risultati immediati. L’ascolto empatico ci permette di cogliere questi bisogni sottostanti.
  2. Riorientare senza respingere
    Un coach empatico non respinge mai la richiesta del cliente, ma la accoglie e la trasforma. “Capisco il tuo desiderio di una spinta decisa, ma cosa ne pensi di costruire insieme una motivazione che duri nel tempo?”
  3. Creare uno spazio sicuro per la vulnerabilità
    Il cambiamento autentico richiede vulnerabilità. Le “sberle” creano difese; l’empatia crea apertura. Solo in uno spazio di accettazione possiamo davvero guardare le nostre ombre.

Come riorientare le aspettative con gentilezza

Il riorientamento delle aspettative è uno dei compiti più delicati del coach. Ecco alcuni principi che guidano il mio approccio:

Validare prima di riorientare
“Comprendo perfettamente il tuo desiderio di risultati rapidi e la frustrazione che provi ora. È naturale volere un cambiamento immediato quando si soffre.”

Educare senza sminuire
“Il cervello umano ha bisogno di tempo per formare nuove connessioni. I cambiamenti duraturi richiedono pratica costante, non pressioni intense.”

Offrire una visione alternativa attraente
“Immagina di sviluppare non solo la capacità di agire, ma anche quella di scegliere consapevolmente come agire, senza dipendere da spinte esterne.”

Negoziare un nuovo patto
“Ti propongo un approccio diverso: invece di ‘sberle’, costruiamo insieme strumenti che ti permettano di motivarti autonomamente.”

La gentilezza strategica

L’approccio empatico non è solo una questione etica, ma anche strategica. La neuroscienza ci mostra che il cervello sotto stress o minaccia attiva meccanismi di difesa che riducono la capacità di apprendimento e cambiamento.

Un ambiente psicologicamente sicuro, invece, attiva aree cerebrali associate alla creatività, all’apprendimento e alla flessibilità cognitiva. La gentilezza del coach non è quindi “buonismo”, ma una strategia scientificamente fondata per facilitare il cambiamento.

Un percorso di crescita autentica

Il vero cambiamento non è mai lineare né rapido. Si costruisce giorno dopo giorno, attraverso piccoli passi costanti e consapevoli. Il coach empatico non promette miracoli immediati, ma un cammino di crescita autentica.

Questo significa:

  • Sostituire l’urgenza con la costanza
  • Trasformare l’auto-critica in auto-compassione
  • Passare dalla motivazione esterna all’auto-motivazione
  • Costruire resilienza invece che cercare scorciatoie

Dalla spinta alla guida

Riorientare le aspettative del cliente non significa deluderle, ma elevarle. Significa passare dall’idea di un coach che “spinge” a quella di un coach che “guida”, che cammina accanto, che illumina la strada.

L’approccio empatico e gentile non è una rinuncia all’efficacia, ma il suo presupposto. È la differenza tra piantare un seme e tirare una pianta per farla crescere più in fretta.

Come coach, il nostro compito più importante non è dare “sberle”, ma creare le condizioni perché le persone scoprano la propria forza interiore e imparino ad appoggiarsi su di essa. È un lavoro più sottile, più lento, ma infinitamente più trasformativo.

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