Avere o essere? Il mio personale disagio davanti alla meditazione dell’abbondanza


Mindfulness vs. Meditazione dell’abbondanza

Recentemente, mi sono trovato ad affrontare una situazione che ha generato in me un certo disagio interiore. Un caro amico mi ha invitato a partecipare a un gruppo WhatsApp intitolato meditazione dell'abbondanza, ispirato agli insegnamenti di Deepak Chopra. Il programma prevede 21 giorni di pratiche quotidiane che includono meditazione, recitazione di mantra e annotazioni su un quaderno, tutto finalizzato ad "attirare" nella propria vita ciò che si desidera – da qui il concetto di "abbondanza".

Come istruttore di Mindfulness, ho sentito subito una sorta di attrito interiore. Non ho lasciato il gruppo né ho espresso critiche, ma ho avvertito un disagio che meritava di essere esplorato.

Chi è Deepak Chopra e cosa insegna

Prima di approfondire il mio disagio, è utile comprendere meglio chi sia Deepak Chopra e quale approccio proponga. Chopra è un medico endocrinologo di origine indiana, diventato negli anni una figura di spicco nel campo della medicina alternativa e della spiritualità contemporanea. I suoi insegnamenti combinano elementi della tradizione ayurvedica indiana con concetti della fisica quantistica e della spiritualità New Age.

Al centro della sua filosofia c’è l’idea che la mente e il corpo siano profondamente interconnessi e che i nostri pensieri abbiano il potere di influenzare la realtà materiale. La sua visione della meditazione dell’abbondanza si basa sul principio che focalizzando consapevolmente la nostra attenzione e intenzione su ciò che desideriamo, possiamo manifestare queste realtà nella nostra vita.

Questo approccio si è diffuso enormemente, soprattutto negli Stati Uniti, e ha trovato terreno fertile nel movimento della legge dell’attrazione reso popolare da opere come The Secret.

La radice del disagio

Riflettendo più a fondo, ho compreso che il mio disagio nasceva da una fondamentale differenza di prospettiva. Nel percorso della Mindfulness che ho studiato e che insegno, radicato nelle tradizioni buddhiste e nei protocolli occidentali come l’MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction), la meditazione è concepita principalmente come un fine in sé, non come un mezzo per ottenere qualcosa. La pratica si concentra sull’essere pienamente presenti nell’esperienza del momento, coltivando consapevolezza e accettazione di ciò che è, senza inseguire particolari stati o risultati.

Il contrasto con l’approccio della meditazione dell’abbondanza è evidente: qui la pratica diventa strumentale, un veicolo per manifestare desideri specifici, siano essi beni materiali, opportunità professionali o altro.

Due paradigmi diversi

Analizzando queste due visioni senza giudizio, posso riconoscere che rappresentano paradigmi differenti ma non necessariamente incompatibili:

La Mindfulness tradizionale:

  • Enfatizza l’accettazione del momento presente
  • Coltiva la consapevolezza non giudicante
  • Si concentra sul processo, non sul risultato
  • Ha radici nelle tradizioni buddhiste e contemplative orientali
  • Mira a una trasformazione interiore attraverso la comprensione della natura dell’esperienza
  • Si basa sul principio di non-attaccamento agli esiti della pratica
  • Promuove l’osservazione dei pensieri senza identificarsi con essi

La meditazione dell’abbondanza:

  • Si focalizza sulla visualizzazione di risultati desiderati
  • Utilizza tecniche di manifestazione e affermazione
  • È orientata verso obiettivi specifici
  • Incorpora elementi di spiritualità New Age e psicologia positiva
  • Mira a trasformare le circostanze esterne attraverso il potere dell’intenzione
  • Enfatizza il potere creativo del pensiero positivo
  • Spesso include pratiche di gratitudine e visualizzazione attiva

Questa tensione tra meditazione come fine (essere) e meditazione come mezzo (diventare o ottenere) rappresenta una differenza filosofica fondamentale. Nella Mindfulness, non meditiamo per ottenere qualcosa, ma per vedere chiaramente ciò che già è. Nell’approccio dell’abbondanza, meditiamo specificamente per trasformare la realtà secondo i nostri desideri.

Oltre il dualismo

Inizialmente ero tentato di vedere queste due strade come opposte, ma ora mi chiedo: è davvero così? Forse possono esistere in un continuum di pratiche contemplative, ognuna rispondente a diversi bisogni e momenti del percorso spirituale di una persona.

La Mindfulness ci insegna a non attaccarci rigidamente alle nostre opinioni, anche quelle sulla meditazione stessa. Con questo spirito, posso osservare come le pratiche orientate all’abbondanza possano rappresentare, per alcune persone, un ponte accessibile verso la spiritualità e l’introspezione.

Un punto d’incontro possibile

Riflettendo più profondamente, mi rendo conto che forse esiste un terreno comune dove queste pratiche apparentemente divergenti possono incontrarsi. L’abbondanza, dopotutto, non deve necessariamente riferirsi solo a beni materiali o successi esteriori. Potremmo concepirla come un’abbondanza di qualità interiori – compassione, pazienza, saggezza – che sono anche al centro della pratica mindful.

Quando medito senza aspettative, paradossalmente, si manifesta un’abbondanza di presenza e consapevolezza. Quando coltivo l’intenzione di benessere non solo per me stesso ma per tutti gli esseri senzienti, sto già praticando una forma di “meditazione dell’abbondanza” universale. E quando osservo con gentilezza il sorgere del desiderio stesso nella mente, senza giudicarlo né respingerlo, sto applicando la consapevolezza mindful proprio a quell’impulso che alimenta le pratiche di manifestazione.

Forse la vera sfida sta nel mantenere un’attitudine di non-attaccamento anche verso i risultati delle pratiche orientate all’abbondanza. Il Buddha stesso parlava della “retta intenzione” come parte del sentiero. Non negava l’importanza delle aspirazioni, ma ci invitava a tenerle in un abbraccio leggero, consapevole della natura impermanente di ogni condizione.

Anche nelle tradizioni buddhiste troviamo pratiche di visualizzazione e manifestazione, particolarmente nel buddhismo tibetano, dove si visualizzano divinità e qualità che si desidera sviluppare. La differenza cruciale sta nell’intento: queste visualizzazioni mirano alla realizzazione spirituale e al beneficio di tutti gli esseri, non al vantaggio personale o materiale.

Una pratica personale

Alla fine, ogni pratica meditativa diventa profondamente personale. Il disagio che ho provato è stato un prezioso campanello d’allarme che mi ha invitato ad approfondire la mia comprensione e i miei valori.

Rimango fedele alla visione della Mindfulness come pratica di presenza e accettazione, ma accolgo con curiosità l’opportunità di espandere i miei orizzonti. Forse la vera abbondanza sta proprio in questa apertura mentale, nella disponibilità a esplorare prospettive diverse mantenendo al contempo una chiara consapevolezza dei propri valori fondamentali.

In questo spirito di esplorazione non giudicante, continuerò a partecipare al gruppo, osservando momento per momento cosa emerge nella mia esperienza. La vera ricchezza potrebbe risiedere proprio in questa capacità di stare con l’incertezza e il disagio, trasformandoli in opportunità di crescita e comprensione più profonda. Dopotutto, non è forse questa l’essenza stessa della pratica mindful?